Dylan Dog al cinema: cosa ha funzionato e cosa no nelle trasposizioni del fumetto cult

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Parlare di Dylan Dog significa toccare una delle icone più amate del fumetto italiano. Creato da Tiziano Sclavi nel 1986, l’indagatore dell’incubo ha conquistato generazioni di lettori con le sue storie gotiche, surreali, malinconiche, ambientate in una Londra sognante e decadente. Il suo fascino è unico: ironico ma profondo, romantico ma disilluso, sospeso tra la vita e la morte.

Ma cosa succede quando un personaggio così sfaccettato prova a saltare dal fumetto al grande schermo? Il risultato, come vedremo, è stato tutt’altro che semplice.

“Dellamorte Dellamore” (1994): un cult anomalo

Il primo film legato al mondo di Dylan Dog non è ufficialmente una trasposizione diretta, ma è forse l’opera cinematografica più vicina al suo spirito. Diretto da Michele Soavi e tratto dall’omonimo romanzo di Sclavi, il film vede protagonista Rupert Everett nei panni di Francesco Dellamorte, custode di un cimitero in cui i morti… tornano a camminare.

Cosa funziona

  • L’atmosfera decadente e poetica, sospesa tra horror e surrealismo
  • La regia visionaria di Soavi, figlia del miglior cinema di genere italiano
  • La performance glaciale e affascinante di Everett, che ispirò fisicamente Dylan Dog nel fumetto

Cosa convince meno

  • Una narrazione frammentata e a tratti ermetica
  • Un ritmo altalenante
  • La scarsa distribuzione e promozione all’epoca dell’uscita

Nonostante tutto, il film è diventato un piccolo cult internazionale, amato dai fan più fedeli e riscoperto negli anni.

“Dylan Dog – Il film” (2011): il tentativo americano

La seconda incarnazione cinematografica è invece una vera trasposizione… almeno sulla carta. Prodotto da Hollywood e interpretato da Brandon Routh (già Superman), il film si allontana in modo netto dalle atmosfere originali del fumetto per abbracciare un’estetica da action-horror generico ambientato a New Orleans.

Le intenzioni

L’idea era quella di creare un franchise internazionale partendo da un personaggio “esotico” per il pubblico americano. Ma qualcosa è andato storto, anzi più di qualcosa.

I problemi principali

  • Ambientazione sbagliata: spostare Dylan da Londra a New Orleans cancella parte della sua identità
  • Assenza dei personaggi chiave: niente Groucho (sostituito da un amico nerd), niente Bloch
  • Tono incoerente: il film cerca di essere ironico, dark, epico e teen allo stesso tempo, senza riuscirci
  • Soggetto debole: la trama coinvolge vampiri, lupi mannari e zombie in una storia confusionaria e poco originale

Un’occasione sprecata

I fan si sono sentiti traditi. Il personaggio che amano è stato irriconoscibile, mentre il pubblico generalista non ha trovato nulla di nuovo. Il risultato? Un flop al botteghino e recensioni per lo più negative.

Perché è così difficile portarlo al cinema?

La forza di Dylan Dog è proprio nella sua identità ibrida: un investigatore che vive al confine tra realtà e incubo, con toni che mescolano horror, poesia, ironia, critica sociale e introspezione. È un personaggio più vicino a Fellini che a Marvel.

Trasporlo sul grande schermo significa fare una scelta coraggiosa: non cercare il consenso facile, ma ricreare un mondo narrativo profondo, lento, ricco di simbolismi e atmosfere. Una sfida che finora il cinema non ha saputo (o voluto) raccogliere.

Altri progetti in attesa

Negli ultimi anni si è parlato di una possibile serie TV targata Bonelli Entertainment, con produzione italiana e maggior fedeltà al fumetto. Il progetto sembrava vicino alla realizzazione ma è poi sparito dai radar, anche a causa della pandemia.

I fan continuano a sperare in un adattamento degno, magari con un approccio autoriale e rispettoso dello spirito originale. Perché Dylan Dog non è solo un personaggio: è una filosofia narrativa.

Conclusione

Il viaggio cinematografico di questo celebre detective dell’orrore è stato finora complesso e controverso. Da un piccolo cult italiano a un fallimentare blockbuster americano, manca ancora una vera trasposizione che colga l’essenza del personaggio.

Ma il suo potenziale visivo e narrativo resta enorme. Forse serve solo il coraggio di osare di meno sul fronte commerciale e di più su quello artistico. Come direbbe lui stesso: “Io non ho paura dei mostri. Ho paura degli uomini che li creano.”

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